Grazie alla tecnologia 5G, nel giro di qualche anno gli autisti potrebbero guidare camion e altri mezzi in ogni parte del mondo da casa loro.
Se vi piacciono i videogiochi, soprattutto quelli di guida, nel giro di qualche anno potreste trasformare la vostra passione in un lavoro, e probabilmente anche ben pagato, perché camion, furgoni e altri mezzi che percorrono ogni giorno centinaia di chilometri potrebbero essere guidati da remoto da autisti specializzati in virtual driving.
Uno dei prototipi più avanzati di questa tecnologia è stato sviluppato dall’azienda svedese Voysys.
Dalla consolle alla strada.
Come in un videogioco iper realistico, l’autista controlla ogni funzione del proprio mezzo seduto di fronte a uno schermo panoramico, oppure indossando un visore per la realtà virtuale. Le immagini sono in ultra alta definizione (UHDTV) fino a 8K (7.680 x 4.320 pixel) con una visuale a 180° del tutto equivalente a quella che avrebbe il pilota seduto in cabina.
Sterzo e pedali, una versione professionale di comandi da gaming, riproducono con fedeltà le sensazioni che l’autista avrebbe su strada. L’esperienza umana e il “colpo d’occhio” sulle misure del bisonte della strada fanno il resto, permettendo al pilota di districarsi con sicurezza in ogni manovra.
E se non c'è campo?
Naturalmente, per questa tecnologia è essenziale la velocità di connessione tra il mezzo e il pilota, che possono trovarsi a migliaia di chilometri di distanza: la connettività è affidata alle nuove reti 4 e 5G, che dovrebbero offrire un’esperienza di guida praticamente priva di ritardi e latenze anche nelle situazioni più critiche.
Il sistema di remote driving può inoltre essere affiancato da tutti i sistemi di supporto alla guida già oggi disponibili, dai radar anti-collisione ai sistemi di frenata e fermata automatici, pronti a intervenire in caso di problemi.
I primi test sono stati condotti in pista utilizzando un modello in scala: i chilometri che separavano autista e veicolo non hanno impedito una guida fluida e manovre relativamente complesse come l'immissione in una rotonda o l'arresto in spazi predefiniti.
Secondo quanto si legge sul sito dell’azienda questa tecnologia potrebbe essere impiegata non solo nel mondo dei trasporti ma anche su tutti i macchinari che lavorano in contesti disagevoli per le persone.
La guida remota offre al mondo dei trasporti numerosi vantaggi: permette ai mezzi di viaggiare praticamente senza sosta e senza bisogno di obbligare i conducenti a faticose trasferte.
A tutto vantaggio dei costi e della sicurezza.
Fonte: Focus.it
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Uno studente in un liceo cade in un lucernario precipitando per oltre 7 metri. Quali sono le responsabilità di dirigente scolastico e RSPP? Il commento e i principi di diritto della sentenza della Cassazione n. 37766 del 12 settembre 2019.
Quando l’infortunio dell’alunno è dovuto a una carenza dell’edificio, anche il Preside è responsabile penalmente. Sul dirigente scolastico, infatti, grava l’obbligo di vigilare sulla messa in sicurezza della struttura. E sul responsabile del Servizio Prevenzione e protezione grava la responsabilità di individuare il rischio, valutarlo e segnalare al dirigente scolastico i possibili interventi preventivi e protettivi su una struttura pericolosa e non a norma con le leggi sulla sicurezza degli edifici scolastici.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione Penale con la sentenza della Sez. 4, 12 settembre 2019, n. 37766: infatti anche se il «Preside» della scuola non è proprietario dell’immobile e non ha poteri di spesa o decisionali in merito alla manutenzione dell’edificio, che tra l'altro è di solito proprietà dell'ente comunale o provinciale, comunque viene considerato ex lege “datore di lavoro”. Come tale, il dirigente sarà responsabile del rispetto delle norme antinfortunistiche e, dati i suoi limiti, sarà esente da responsabilità penali e civili se segnalerà alle autorità competenti gli interventi strutturali necessari.
Alla base di questa decisione c’è il presupposto dettato dal D. Lgs. n. 81/2008: il dirigente scolastico è considerato un “datore di lavoro”, anche se con alcune dovute peculiarità.
Difatti, non essendo proprietario dell’edificio non ha potere di spesa o decisionali per quanto concerne la messa in sicurezza della Scuola.
Tuttavia, la Cassazione ha evidenziato che il Preside ha potere di gestione dell’Istituto (come stabilito nella sentenza n. 23012 del 2001) e pertanto su di lui grava l’obbligo d’informare prontamente chi di dovere per intervenire nel più breve tempo possibile per eliminare le fonti di pericolo.
Quindi, in caso d’infortunio dell’alunno causato da strutture scolastiche non a norma, il dirigente scolastico sarà penalmente responsabile per non essere intervenuto prontamente a segnalare il mancato rispetto delle leggi a tutela della sicurezza scolastica agli enti che hanno il potere di intervenire. Il Rspp è corresponsabile per non avere evidenziato questa esigenza (in violazione dell'art. 33 del D.Lgs. n. 81/2008).
Il Dirigente scolastico, dunque, ha il dovere d’informare e segnalare le fonti di pericolo alle autorità competenti, che sono il Comune e la Provincia. Tale segnalazione deve essere tempestiva e sarà responsabile dei danni se dalla sua inerzia derivano dei danni agli alunni o al personale docente. In ciò affiancato dal Rspp.
Se chi di dovere non interviene in tempi brevi, il Preside è tenuto a prendere tutte le misure necessarie a scongiurare gli infortuni, nell’ipotesi più grave sospendere le lezioni e tutte le attività scolastiche.
La sentenza che si commenta riguarda un fatto accaduto nell'estate del 2011 in un liceo di Sapri: un grave incidente occorso a un ragazzo che, qualche giorno dopo aver terminato le prove di maturità, si era recato a scuola per assistere all'esame orale di un compagno.
La Suprema Corte ha confermato la condanna - a un mese di reclusione (condizionalmente sospesa) e al pagamento di una provvisionale a titolo di anticipazione del risarcimento dei danni dovuto per effetto dell'illecito penale - di una dirigente scolastica e dell'ingegnere responsabile esterno del servizio di prevenzione e protezione dell'istituto, imputati per lesioni colpose gravi con violazione della disciplina antinfortunistica.
Il giovane, inciampando, era caduto su un lucernario precipitando per oltre 7 metri e riportando ferite gravi. Il solaio-lucernario era accessibile attraverso una porta finestra solitamente chiusa con un piccolo lucchetto, ma che talvolta veniva aperta, come accadde quella mattina, a causa del gran caldo. La quarta sezione penale della Cassazione ha confermato la sentenza di condanna dei due imputati della Corte d'appello di Potenza, che aveva ritenuto i due imputati responsabili dell'infortunio.
Per i giudici la preside "avrebbe potuto e, soprattutto, dovuto segnalare alla Provincia le problematiche dell'istituto alla stessa affidato" - come "l'insicurezza del solaio in questione", cosa che invece non avvenne. Gli accertamenti compiuti nel corso del dibattimento hanno appurato che "le richieste, pur in effetti inoltrate all'ente territoriale e ad altri soggetti pubblici, non contenevano però alcuna menzione della problematica in questione".
Secondo la Corte si preferì una "soluzione artigianale" insufficiente però a eliminare il pericolo.
Testualmente la Suprema Corte ha affermato i seguenti principi che seguono.
«La posizione di garanzia in capo agli addetti al servizio scolastico nei confronti dei soggetti affidati alla scuola si configura diversamente a seconda, da un lato, dell'età e del grado di maturazione raggiunto dagli allievi oltre che delle circostanze del caso concreto, e, dall'altro, degli specifici compiti di ciascun addetto, ma si caratterizza in generale per l'esistenza di un obbligo di vigilanza nei confronti degli alunni, al fine di evitare che gli stessi possano recare danno a terzi o a sé medesimi, o che possano essere esposti a prevedibili fonti di rischio o a situazioni di pericolo. (Fattispecie relativa all’investimento mortale di un alunno di prima media accaduto all'uscita dall'istituto scolastico ad opera di un autobus transitante sulla pubblica via, in cui la preside e l'insegnante dell'ultima ora di lezione erano state assolte in grado di appello dal reato di omicidio colposo, perché ritenute non sussistenti le rispettive posizioni di garanzia. La Corte ha annullato con rinvio la sentenza)» (Sez. 4, n. 17574 del 23/02/2010, P.G., P.C., Ciabatti e altri, Rv. 247522: v. spec. in motivazione, p. 11-13)”.
«Nelle pubbliche amministrazioni, ai fini della normativa sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano poteri gestionali, decisionali e di spesa» (così Sez. 4, n. 34804 del 02/07/2010, Maniago, Rv. 248349; in conformità, v., già in precedenza, Sez. 3, n. 47249 del 30/11/2005, Maniscalco, Rv. 233017; Sez. 3, n. 19634 del 04/03/2003, Fortunato, Rv. 224874; recentemente, nello stesso senso, Sez. 4, n. 43829 del 20/04/2018, Cesini Sergio, Rv. 274263) e che la ricorrente era priva dei poteri di spesa.
Nondimeno, non può trascurarsi che «In tema di prevenzione infortuni nelle istituzioni scolastiche, soggetto destinatario dell'obbligo di sicurezza è il dirigente che abbia poteri di gestione» (Sez. 3, n. 23012 del 17/05/2001, Altamore G., Rv. 218940).
«In tema di lesioni e di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, è sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale non può ritenersi escluso solo perché il soggetto colpito da tale evento non sia un lavoratore dipendente (o soggetto equiparato) dell'impresa obbligata al rispetto di dette norme, ma ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati dagli articoli 40 e 41 cod. pen.. Ne consegue che deve ravvisarsi l'aggravante di cui agli articoli 589, comma secondo, e 590, comma terzo, cod.pen., nonché il requisito della perseguibilità d'ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex articolo 590, ultimo comma, cod.pen., anche nel caso di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, purché la presenza di tale soggetto nel luogo e nel momento dell'infortunio non abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante e purché, ovviamente, la norma violata miri a prevenire incidenti come quello in effetti verificatosi. (Nella specie, la Corte ha ritenuto sussistente l'aggravante di cui al comma terzo dell'articolo 590 cod.pen., con conseguente procedibilità d'ufficio del reato ai sensi dell'ultimo comma dello stesso articolo, in relazione ad un infortunio che aveva riguardato uno studente presente in una palestra scolastica per partecipare ad una lezione di educazione motoria)» (Sez. 4, n. 11360 del 10/11/2005, dep. 2006, P.M. in proc. Sartori ed altri; già in precedenza, v. Sez. 4, n. 6025 del 06/02/1989, Terranova, Rv. 181105; nello stesso senso, successivamente, tra le altre cfr. Sez. 4, n. 10842 del 07/02/2008, Caturano e altro; Sez. 4, n. 43168 del 17/06/2014, Cinque; Sez. Sez. 4, n. 38200 del 12/05/2016, Marano).
Leggendo i seguenti casi presi in esame dalla Corte di Cassazione la tipologia di rischio che porta all’evento incidentale che incardina il procedimento penale varia da caso a caso e riguarda la sicurezza elettrica, il rischio di esplosione, quello di caduta o altri ancora. La previsione normativa che pone l’obbligo di valutare tutti i rischi richiede quindi una preparazione tecnica molto ampia da parte di chi supporta il datore di lavoro come Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione.
In tal senso il legislatore non solo impone al datore di lavoro la costituzione di un servizio di prevenzione e protezione e la nomina, nella maggior parte dei casi, del medico competente, ma mette in evidenza che qualora la complessità dell’attività richieda ulteriori capacità tecniche, il datore di lavoro è obbligato ad avvalersi di persone esterne alla azienda in possesso delle necessarie conoscenze professionali, per integrare, ove occorra, l'azione di prevenzione e protezione del servizio.
È dunque chiaro che l’unico limite alla valutazione del rischio è rappresentato dalla prevedibilità dell’evento. Tale concetto include tutto ciò che rientra nelle esperienze di settore,ma il campo è molto vasto e abbraccia le scienze ingegneristiche, naturali, sociali, ecc. ed è in continua evoluzione.
Parlando di prevedibilità di un evento, si deve ricordare il prezioso insegnamento che la Corte di Cassazione, pronunciandosi sul disastro di Stava, nella Sentenza 6 dicembre 1990 n. 4793 scriveva: "ai fini del giudizio di prevedibilità, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione ex ante dell'evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione".
In relazione al rapporto tra il ruolo di RSPP e il concetto di prevedibilità è lapidaria la Sentenza n. 25647 dell’11 giugno 2013 della IV Sezione della Corte di Cassazione:
“La prevedibilità altro non significa che porsi il problema delle conseguenze di una condotta commissiva od omissiva avendo presente il cosiddetto "modello d'agente", il modello dell' "homo eiusdem condicionis et professionis", ossia il modello dell'uomo che svolge paradigmaticamente una determinata attività, che importa l'assunzione di certe responsabilità, nella comunità, la quale esige che l'operatore si ispiri a quel modello e faccia tutto ciò che da questo ci si aspetta. Un tale modello impone, nel caso estremo in cui il garante si renda conto di non essere in grado d'incidere sul rischio, l'abbandono della funzione, previa adeguata segnalazione al datore di lavoro”.
È chiaro che l’assunzione del ruolo di RSPP non rappresenta un compito semplice, ne privo di responsabilità. La semplice assunzione del ruolo vincola all’assolvimento diligente e col massimo di perizia professionale di tutti i compiti indicati dall’articolo 33 del D.Lgs 81/08.
Tanto la dottrina che la giurisprudenza (si veda Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 18568 del 24 aprile 2013) riconoscono ad esempio la cd. colpa per assunzione, ravvisabile allorquando si cagiona un evento dannoso per aver assunto un compito che non si è in grado di svolgere secondo il livello di diligenza richiesto all'agente modello di riferimento.
La Cassazione Penale, Sez.IV, 13 maggio 2016 n. 20051 conferma la condanna della dirigente scolastica di un Istituto scolastico statale, comprensivo del plesso scolastico scuola elementare …, per aver “omesso di provvedere, in qualità di datore di lavoro, […] affinché il cancello a due ante dell’istituto, cancello in evidente stato di degrado, potesse essere utilizzato in piena sicurezza”, oltre che del reato di “lesioni colpose lievi in danno di uno studente di otto anni, e di un genitore di un altro studente della scuola, lesioni procurate in conseguenza della improvvisa caduta dell’anta sinistra del cancello di cui si è detto”.
L’RSPP era stato assolto in primo grado dall’accusa di avere, “omesso di individuare il rischio connesso allo stato di ammaloramento del cancello a due ante […] e di prevedere, tra gli interventi da effettuare, la manutenzione del predetto cancello e, in particolare, la sostituzione dei cardini, visibilmente corrosi”, oltre che dal reato di “lesioni colpose”.
La Corte d’Appello ha invece poi riconosciuto l’RSPP responsabile, ai soli effetti civili, del fatto illecito di lesioni colpose e lo ha condannato a risarcire, in solido con l’imputata, il danno.
Con riferimento all’RSPP, la sentenza ricorda che “l’imputato, nel segnalare nel suo scritto del 15 ottobre 2008 (documento di valutazione dei rischi) vaghi problemi alla ‘recinzione esterna dell’edificio’, evidentemente comprensiva di muri, cancelli, ringhiere e quant’altro, recinzione esterna descritta come connotata da ‘diffuso ammaloramento’, peraltro visibile ad occhio nudo, con particolare riferimento proprio al cardine inferiore sinistro (quello che aveva ceduto), non poteva certo specificamente riferirsi al cancello in questione, anche perché l’imputato, volendo riferirsi ad un altro cancello dell’immobile, sito in un altro punto, lo aveva in altra parte del documento specificamente individuato. Inoltre, che la verifica sulla stabilità del cancello in questione era stata superficialmente svolta dall’RSPP soltanto mediante l’impiego, in un’occasione, di un cacciavite, a mo’ di ‘sonda’, su di un ferro del cancello, con una tecnica, cioè, all’evidenza, troppo grossolanamente approssimativa per potere avere una qualche validità tecnica ed una qualche affidabilità dal punto di vista predittivo”.
La Cassazione infine sottolinea “l’importanza del ruolo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione” cui la legge affida il compito di coadiuvare il “datore di lavoro normalmente a digiuno (come peraltro nel caso di specie) di conoscenze tecniche”.
Infatti “il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all’occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori.”
La responsabilità penale personale della dirigente scolastica e del Rspp di cui alla sentenza che si annota, è stata incardinata sui seguenti articoli di legge:
DLGS 81/2008 TESTO UNICO SICUREZZA LAVORO
ARTICOLO 18 C. 3
3. Gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente Decreto Legislativo, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell’amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tale caso gli obblighi previsti dal presente Decreto Legislativo, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all’amministrazione competente o al soggetto che ne ha l’obbligo giuridico.
Articolo 33 - Compiti del servizio di prevenzione e protezione
1. Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali provvede:
a) all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all'individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale;
b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive di cui all’articolo 28, comma 2, e i sistemi di controllo di tali misure;
c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;
d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla riunione periodica di cui all’articolo 35;
f) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’articolo 36.
In tal senso “il responsabile del servizio di prevenzione e protezione qualora, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell'evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo” (Sezione 4, 15 luglio 2010, Scagliarini).
Ciò perché, in tale evenienza, l'omissione colposa al potere-dovere di segnalazione in capo al RSPP, impedendo l'attivazione da parte dei soggetti muniti delle necessarie possibilità di intervento, finirebbe con il costituire (con)causa dell'evento dannoso verificatosi in ragione della mancata rimozione della condizione di rischio: con la conseguenza, quindi, che, qualora il RSPP, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale, ben potrebbe rectius, dovrebbe essere chiamato a rispondere insieme a questi in virtù del combinato disposto dell'art. 113 c.p., e art. 41 c.p., comma 1 dell'evento dannoso derivatone.
Infondato è anche il motivo con il quale si sostiene l'inapplicabilità della normativa antinfortunistica alla parte offesa in quanto non compresa tra i soggetti dalla stessa tutelati (Cassazione Penale, Sez. 4, 11 marzo 2013, n. 11492).
La censura tralascia di considerare che in tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro, indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa. Ne consegue che ove in tali luoghi vi siano macchine non munite dei presidi antinfortunistici e si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui all'art. 589 c.p., comma 2, e art. 590 c.p., comma 3, nonché la perseguibilità d'ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590 c.p., u.c., è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale ricorre se il fatto sia ricollegabile all'inosservanza delle predette norme secondo i principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., e cioè sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell'infortunio non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l'incidente verificatosi, tutte condizioni sussistenti nel caso in esame ( v. da ultimo in tal senso Sez. 4, 17 aprile 2012, De Lucchi, rv. 253322).
Fonte: Puntosicuro
Rolando Dubini, avvocato in Milano, cassazionista
Che cosa si intende per cultura della sicurezza?
All’accadere dell’ennesimo grave evento mortale, ricomincia la solita litania che individua nell’assenza della “Cultura della Sicurezza” la causa principale del fenomeno infortunistico.
Cosa s’intende per “Cultura della Sicurezza”.
Come ormai noto agli addetti ai lavori, l’Italia è un Paese che, essenzialmente, legifera solo sotto due tipologie di spinte:
quelle che arrivano dalla UE sotto forma di regolamenti, direttive europee da recepire, ecc.;
quelle emozionali-emergenziali, all’accadere di gravi eventi.
Nei casi in cui si legifera sotto spinte emozionali – emergenziali il legislatore italiano dà, da anni, il meglio di sé.
Infatti, quando avvengono tragici eventi in cui perdono la vita anche più lavoratori, l’attenzione a tali avvenimenti, da parte dei mass media, cresce in modo esponenziale con il conseguente impatto sulla pubblica opinione.
I politici che, in genere, sanno poco o nulla di sicurezza sul lavoro ma sono, invece, molto attenti a cosa pensa la pubblica opinione, tendono a sfruttare la situazione, ai fini del mantenimento o incremento del consenso popolare.
Ecco, quindi, che dopo uno di questi tragici eventi si assiste alla solita sequela di dichiarazioni del tipo:
- Ci vogliono maggiori controlli!
- Ci vogliono nuove leggi perché quelle che abbiano non sono adeguate!
- Manca la cultura della sicurezza.
Già in passato, chi scrive, aveva illustrato l’italico modus operandi della legislazione d’emergenza ( Italia: un sistema prevenzionale da “manutenzione a guasto”?).
Questa volta, invece, si vuole dedicare una riflessione alla “Cultura della Sicurezza” alla cui mancanza ci si appella quando avvengono gravi eventi.
Infatti, non c’è politico, rappresentante delle Parti Sociali, rappresentante di associazioni, magistrato, funzionario di ente di vigilanza, ecc., che non la citi come causa principale dell’evento avvenuto.
Peccato che nessuno di questi fornisca una definizione convincente di cosa intenda per “Cultura della Sicurezza”.
A domanda precisa, quasi sempre si rifugiano “in calcio d’angolo”, spiegando che essa è la conoscenza e l’applicazione delle norme e delle regole vigenti.
Devo però dire che, nei tanti procedimenti giudiziari seguiti come consulente tecnico per la difesa, non mi è mai capitato di trovare qualcuno che non conoscesse la norma/regola/procedura che, violata, aveva concorso a causare l’evento, compreso lo stesso infortunato.
La cultura della sicurezza di un'organizzazione non è la conoscenza e l’applicazione delle norme e delle regole vigenti o, almeno, non è solo questa.
La vera e propria cultura della sicurezza, invece, è il prodotto dei valori, degli atteggiamenti, della consapevolezza, delle abilità e dei modelli di comportamento individuali e di gruppo che determinano l'impegno nella gestione della salute e della sicurezza integrando tale prodotto nel rapporto tra l’organizzazione aziendale e gli individui che ne fanno parte.
E questa è una definizione di “Cultura della Sicurezza” che vale sia per la piccola che per la grande impresa.
Le organizzazioni aziendali, piccole o grandi che siano, che hanno una radicata e diffusa cultura della sicurezza positiva, sono caratterizzate da scambi relazionali basati sulla fiducia reciproca, su percezioni condivise dell'importanza della sicurezza e sulle garanzie circa l'efficacia delle misure preventive.
La cultura di un'organizzazione influenza, ovviamente, il sistema aziendale di gestione della sicurezza e, semplificando, possiamo definire la "Cultura della Sicurezza" è parte della cultura generale di un'azienda.
Aziende dove la cultura della sicurezza latita sono, invece, caratterizzate da:
violazioni diffuse delle norme e delle procedure previste per le attività routinarie e non;
mancato rispetto, ove esistente ma evidentemente solo sulla carta, del Sistema di Gestione Sicurezza dell'azienda;
gestione del management che sistematicamente assegna priorità alla produzione ed al contenimento dei costi rispetto la sicurezza.
A questo punto bisogna chiedersi quali siano gli aspetti chiave che denotano la sussistenza, nell’organizzazione, di una vera e propria Cultura della sicurezza effettiva ed efficace.
In una medio-grande azienda, l’esistenza e la diffusione, a tutti i livelli, della Cultura della Sicurezza, è riconoscibile raccogliendo evidenze su alcune particolari aree.
Vediamone alcune.
Politica, organizzazione e comunicazione
La politica è fatta propria dalle funzioni apicali e il loro impegno è visibile in tutta la catena di gestione.
Le attività per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro (SSL) sono considerate importanti quanto le altre aree di attività.
La funzione SSL ha uno status elevato e opera in modo proattivo, lavora e comunica in modo efficace.
Dirigenti e preposti comunicano regolarmente riguardo la SSL.
L’organizzazione adotta norme e procedure relative alla SSL che vanno oltre requisiti di legge.
I criteri di selezione dei fornitori e le attività di cooperazione e coordinamento con gli appaltatori sono periodicamente riviste.
Tutti i sistemi di comunicazione aziendali sono utilizzati per comunicare riguardo alla SSL.
Addestramento e formazione
Le attività di addestramento e formazione sono precedute dall’analisi dei bisogni formativi individuali e dell’organizzazione.
Le risorse assegnate alla formazione SSL sono adeguate.
Tutto il personale è formato sull'importanza particolare delle procedure e istruzioni riguardanti la SSL.
L’apprendimento, dopo i corsi di addestramento e formazione, è sistematicamente valutato.
L’efficacia della formazione alla SSL è monitorata anche riguardo al trasferimento effettivo al lavoro ed alle ricadute sull’organizzazione aziendale.
Le esigenze formative sono periodicamente rivalutate.
I programmi di addestramento e formazione sono rivisti anche a seguito di segnalazioni del personale o in caso infortuni e di near miss.
Gestione delle performance
Esiste un sistema di indicatori delle prestazioni della SSL con un programma per il miglioramento delle stesse.
Il management riceve regolarmente comunicazioni sull’andamento delle prestazioni riguardanti la SSL.
Il management effettua periodicamente un confronto con le prestazioni SSL di altre aziende del settore.
In caso di scostamenti rispetto gli obiettivi fissati, sono prontamente attuate le azioni correttive necessarie.
Il feedback è sistematico riguardo le azioni attuate anche in modo da apprendere come evitare futuri scostamenti.
Le prestazioni SSL sono comunicate a tutto il personale.
Il personale, tramite i propri rappresentanti, è sistematicamente consultato riguardo gli indicatori di prestazione, i traguardi e gli obiettivi SSL.
Il personale, tramite i propri rappresentanti, riceve sistematica comunicazione riguardo quanto concretamente attuato dall’azienda in merito alle proposte avanzate
Valutazione individuale
L'azienda ha preso in considerazione misure per gestire situazioni individuali, comprese:
le situazioni individuali di stress sia lavoro correlato che extra lavorativo;
le persone che hanno una inadeguata percezione del rischio;
L’azienda interviene sistematicamente sui comportamenti a rischio adottando misure per evitarne il ripetersi.
I focus group sono utilizzati per identificare le principali strategie di controllo del rischio.
Ogni individuo è addestrato e formato in modo tale da essere in grado di valutare i rischi della propria mansione.
A questo punto ci si pone la domanda: come verificare il livello di “ Cultura della Sicurezza nella propria organizzazione aziendale?
Volendo esplorare più nel dettaglio l’esistenza o meno di una Cultura della Sicurezza in un’organizzazione di medio-grandi dimensioni, è possibile utilizzare degli specifici strumenti.
Ad esempio, si potrebbero “esplorare” alcune aree tematiche magari costruendo dei questionari con domande come quelle che seguono oppure organizzando una serie di interviste individuando un campione tra il personale.
Commitment
A quale livello gerarchico viene percepita la sicurezza come una delle priorità della gestione aziendale (top management / dirigenti / preposti)?
Come queste figure aziendali dimostrano ciò?
Con quale frequenza, i manager visitano i posti di lavoro?
I manager parlano con il personale delle attività per la SSL quando si trovano sul posto di lavoro?
I manager gestiscono i problemi della SSL emersi nei colloqui con il personale in modo rapido ed efficiente?
Quale equilibrio tra sicurezza e produzione mostrano le loro azioni?
I manager ispirano fiducia nella gestione della SSL?
Comunicazione efficace
Esistono comunicazioni bidirezionali efficaci in materia di sicurezza?
Qual è la frequenza delle discussioni su questioni riguardanti la SSL?
Con il manager gerarchico / subordinato?
Con i colleghi?
Cosa viene comunicato al personale riguardo il programma per la SSL dell'azienda?
Il personale percepisce trasparenza nelle comunicazioni riguardanti la SSL?
Partecipazione dei dipendenti
In che modo le persone (di tutti i livelli, in particolare il personale operativo) partecipano alle iniziative sulla SSL?
Con che frequenza viene chiesto ai singoli dipendenti di contribuire alla risoluzione condivisa di problemi inerenti la SSL?
Gli operatori segnalano situazioni e comportamenti pericolosi e con che frequenza?
Esiste una partecipazione attiva e strutturata del personale, ad es. workshop, progetti, ecc.?
Esiste un approccio permanente di miglioramento continuo per la SSL?
La responsabilità per la sicurezza è percepita e considerata a carico di chi?
Esiste una vera cooperazione in materia di sicurezza e cioè uno sforzo congiunto da parte di tutti nell'azienda?
Formazione / Informazione
Il personale è consapevole di aver ricevuto tutta la formazione di cui ha bisogno in funzione delle mansioni svolte?
Il personale ritiene di avere una percezione adeguata dei potenziali pericoli e dei rischi nelle rispettive mansioni?
Come vengono identificati i bisogni formativi, individuali e dell’organizzazione?
Qual è l'efficacia percepita della formazione alla sicurezza?
Le informazioni di sicurezza sono prontamente disponibili?
Motivazione
I manager forniscono feedback sulle prestazioni SSL (e come)?
I manager (a tutti i livelli - (top management / Dirigenti / Preposti) affrontano sempre i comportamenti pericolosi notati?
Come trattano questi comportamenti?
I dipendenti ritengono di poter segnalare liberamente comportamenti e situazioni pericolose?
Come vengono applicate le sanzioni disciplinari in caso di violazioni in materia di SSL?
Cosa pensano i dipendenti delle aspettative dei manager?
I dipendenti pensano che l’azienda sia un buon posto di lavoro (perché sì / perché no)?
Rispetto delle procedure
A cosa servono le procedure e le istruzioni scritte?
Le procedure e le istruzioni sono correlate ai rischi?
Chi è che decide se un determinato compito verrà incluso in una procedura o istruzione scritta?
Le procedure e le istruzioni vengono lette?
Le procedure e le istruzioni sono ritenute utili?
Quali altre regole ci sono?
Ci sono troppe procedure e istruzioni?
Il personale è ben addestrato sulle procedure ed istruzioni da attuare?
L’applicazione delle procedure e delle istruzioni è controllata in modo efficace?
Le procedure e le istruzioni sono scritte con la piena partecipazione di chi le dovrà applicare?
Gestione Near Miss
Esiste ed è applicata una politica per la gestione dei near miss?
L'organizzazione aziendale apprende dal processo di gestione dei near miss?
Il personale ritiene di poter liberamente segnalare incidenti, comportamenti o situazioni pericolose?
Il personale è coinvolto nel processo di analisi delle cause a seguito della segnalazione dei near miss?
In seguito all’analisi dei near miss ed all’individuazione delle cause, seguono azioni correttive?
Coloro che segnalano i near miss ricevono il feedback?
In conclusione, una cultura della sicurezza veramente efficace in un’azienda è quella caratterizzata dall’avere i manager che esercitano una leadership efficace nell’azione per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e, nello stesso tempo, sviluppano pratiche volte a coinvolgere direttamente il personale sia nelle varie attività di gestione che nell’applicazione puntuale delle regole e delle procedure.
Questo stile di leadership si deve concretizzare, innanzi tutto, nel riconoscimento dell’importanza della sicurezza e tutela della salute e nell’integrazione della stessa tra i valori ed i principi che guidano i comportamenti dell’azienda sostenendola costantemente da evidenze della sua applicazione nella definizione degli obiettivi di business.
Fonte: Puntosicuro