Uno studio esamina le abitudini degli impiegati oltre la soglia dell’ufficio. A più della metà viene richiesta la disponibilità fuori orario, la maggior è sempre reperibile.

Sei in ferie, in riva al mare e il telefono squilla: è il tuo capo, cosa fai? Il 55% degli italiani risponde alla chiamata perché il datore di lavoro ha chiesto loro di essere comunque reperibili anche in ferie. Ancora superiore la cifra di chi gestisce mail e messaggi in generale fuori dagli orari e dai luoghi di lavoro (67%). Percentuali piuttosto alte se confrontate con le media mondiale, ferma rispettivamente a quota 57% per chi si trova oltre le mura dell’ufficio e al 47% per i vacanzieri.

Tutto questo genera stress e un rapporto tra vita lavorativa e vita privata con confini sempre più labili e sottili. A fare peggio degli italiani, secondo i dati del rapporto Randstad Workmonitor, un’indagine condotta in 34 diversi Paesi, sono in pochi. Primeggiano i cinesi (con l‘89% di disponibilità fuori orario, l’81% in vacanza) seguiti da turchi e indiani (entrambi oltre il 70%), mentre i più rilassati sarebbero i nord europei, nell’ordine svedesi, svizzeri, danesi e tedeschi (tutti con quote tra il 40% e il 20%).

Gli effetti dei quel mix tra tecnologia mobile e flessibilità che va sotto il nome di lavoro agile, o smartworking, non avrebbe dunque solo effetti positivi. La trasformazione è radicale ed estremamente rapida: da un lato può costituire un’opportunità di maggiore produttività, ma dall’altro deve essere governata con un’adeguata organizzazione del lavoro per evitare effetti patologici sulla salute delle persone.

Pena il considerare norma quella che invece dovrebbe essere un’eccezione. Non a caso tra quegli italiani che si fanno trovare sull’attenti anche in spiaggia o dopo cena, 6 su 10 dichiarano di non considerare le richieste una causa di particolare disturbo, con un dato che si colloca in una posizione intermedia tra la placida accondiscendenza di indiani e cinesi (oltre il 70%) e la rigida intransigenza di giapponesi (35%), austriaci, tedeschi e svedesi (tutti intorno al 40%).

Molti poi dichiarano di accettare di buon grado perché vogliono continuare a sentirsi coinvolti (39% in media), altri lo fanno storcendo il naso perché si sentono pressati dagli impegni (38%). Tanti trovano un compromesso sbrigando invece faccende private durante l’orario di lavoro. Una pratica che vale per il 57% degli italiani e il 64% in media dei colleghi in tutto il mondo, con quasi tutti i Paesi analizzati abbondantemente sopra il 50%.

Perché il confine sfuma da entrambi i lati. Se tre anni fa “gli straordinari” erano prerogativa di 4 dipendenti su 10 (oggi sfioriamo i 7) e se il tempo libero è dunque sempre meno libero, il rischio è di trasformare le ore deputate a compiti e impegni in momenti ad uso e consumo personale. Da dedicare magari proprio alla prenotazione di quelle famose vacanze funestate dalle chiamate del capo.

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