Dal 01.01.2023 entreranno in vigore le seguenti novità nella normativa sul trasporto di merci pericolose su strada (ADR), con possibilità di adeguamento fino al 30.06.2023.
Dal 01.07.2023 tutto ciò sotto riportato diverrà definitivo.
MARCATURA PER LE BATTERIE AL LITIO: viene rimosso lo spazio per il numero di telefono. Si dovrà indicare solamente il N. ONU.
OBBLIGO PER LO SPEDITORE DI NOMINA DEL CONSULENTE ADR: chi spedisce merce in ADR è obbligato a nominare un Consulente ADR, tranne nei casi di spedizione di Ferrosilicio, amianto trattato e merci in quantità EQ. I Decreti n. 40/2000 e 35/2010 non sono mai stati aggiornati alla normativa ADR e non parlano di spedizioni di merce pericolosa ma solo di trasporto; non è dunque applicabile l’esenzione prevista dal D.M. 04.07.2000 per numero di operazioni limitate a 24 volte/anno, 3 volte/mese di quantitativi non superiori a 180 t/anno di merci o rifiuti grado di pericolosità o un rischio di inquinamento minimi (appartenenti alla categoria di trasporto 3), salvo aggiornamenti entro il 31.12.2022.
MODIFICA N. ONU: nella lista delle rubriche collettive della classe 3 è stata eliminata la rubrica UN 1169 ESTRATTI AROMATICI LIQUIDI e modificata la rubrica UN 1197 in “ESTRATTI, LIQUIDI per aromatizzare”.
L’edizione 2023 introduce per UN 1872 e UN 1891 delle novità legate al cambio della denominazione ufficiale di trasporto, modifica delle etichette di pericolo e dei relativi codici di classificazione, a nuove disposizioni speciali, alla modifica delle disposizioni in materia di quantità esenti (passaggio da E0 a E2 e viceversa), ecc.
ASSEGNAZIONE DEL GRUPPO DI IMBALLAGGIO IN CLASSE 8: per quanto concerne l’assegnazione del gruppo di imballaggio per le materie classificate come corrosive, per le quali non è possibile definire il gruppo di imballaggio in base ai risultati dei test, si deve attribuire il gruppo di imballaggio I.
CLASSIFICAZIONE DELLE MATERIE PERICOLOSE PER L'AMBIENTE: è stata inserita una nota importante ai fini della classificazione delle miscele per le categorie cronica 1 e 2 quando esistono dati relativi alla tossicità sulla miscela in quanto tale; in funzione dei fattori moltiplicativi M (acuto o cronico), le miscele che contengono una o più sostanze sopra lo 0,025% in peso sono classificate pericolose per l’ambiente e gli si attribuisce la rubrica UN 3082, a meno che non rientrino in altre classi (es. classe 6.1 per la tossicità acuta).
QUANTITA' STIMATA PER RIFIUTI PERICOLOSI: se non è possibile misurare la quantità esatta di rifiuti trasportati sul luogo di carico, la quantità di cui al 5.4.1.1.1 (f) può essere stimata nei seguenti casi alle seguenti condizioni:
(a) Per gli imballaggi, al documento di trasporto viene aggiunto un elenco degli imballaggi indicante il tipo e il volume nominale;
(b) Per i container, la stima si basa sul loro volume nominale e sulle altre informazioni disponibili, ad esempio il tipo di rifiuti, la densità media, il tasso di riempimento;
(c) Per le cisterne per rifiuti sottovuoto, la stima è giustificata, ad esempio mediante una stima fornita dallo speditore o mediante gli equipaggiamenti del veicolo.
Tale stima della quantità NON è autorizzata per:
- Le esenzioni per le quali la quantità esatta è essenziale (ad esempio 1.1.3.6);
- I rifiuti delle seguenti classi: 1, 2, 3 (solo per esplosivi liquidi desensibilizzati), 4.1 (solo per esplosivi solidi desensibilizzati, 4.2 (solo per materie piroforiche), 4.3, 6.1 (solo gruppo di imballaggio I), 6.2, 7;
- Le cisterne diverse dalle cisterne per rifiuti che operano sottovuoto.
Il documento di trasporto deve recare la seguente dicitura:«QUANTITÀ STIMATA CONFORMEMENTE AL 5.4.1.1.3.2»
DOCUMENTO DI TRASPORTO: devono essere citate le disposizioni speciali per n. ONU presenti al paragrafo 3.3 applicate.
Fonte: Valentina Ciocchetti - consulente
Tra le diverse categorie di lavoratori ce n'è una che, durante la stagione estiva, affronta rischi lavorativi particolari, legati ai fattori climatici: parliamo dei lavoratori esposti al caldo.
Due sono gli elementi fondamentali per ridurre il rischio di infortuni legati al clima lavorativo estivo: l'importanza di una buona idratazione e le pause programmate.
Iniziamo dall'idratazione
In generale per tutti i lavoratori una buona idratazione è fondamentale, soprattutto:
- se siamo in presenza di malattie quali bronchite cronica, malattie cardiache, diabete, gastroenteriti;
- se c'è uso di farmaci per la cura di malattie croniche ed es. diuretici, antidepressivi, anticoagulanti;
- se l'alimentazione non è adeguata;
- se il periodo di acclimatamento (da caldo al freddo e viceversa) non è adeguato;
- in presenza di abbigliamento pesante, non traspirante (es. dispositivi di protezione individuale, uniformi o tute da lavoro);
- in relazione al ritmo e all'intensità di lavoro sostenuti.
Sottolineiamo che è importante bere acqua all’inizio della giornata, prima di cominciare a lavorare anche perchè spesso i lavoratori arrivano sul posto di lavoro già in stato di disidratazione: essere idratati prima di iniziare a lavorare “rende più facile il mantenimento dell’idratazione durante la giornata”.
Ecco alcune indicazioni tratte dal documento del Progetto Worklimate (Impatto dello stress termico ambientale sulla salute e produttività dei lavoratori: strategie di intervento e sviluppo di un sistema integrato di allerta meteo-climatica ed epidemiologica per vari ambiti occupazionali):
• l’organismo ha bisogno di adattarsi al caldo in modo graduale: un periodo adeguato di acclimatamento può essere di 7-14 giorni con un aumento graduale dei tempi di esposizione al caldo;
• prima del turno di lavoro rinfrescarsi e idratarsi con bevande fresche e limitando il consumo di caffè; seguire una sana alimentazione nutrendosi a sufficienza ed evitare bevande alcoliche;
• normalmente i sali minerali persi con la sudorazione sono reintegrati in occasione dei pasti, pertanto per mantenere l’equilibrio idro-elettrolitico è importante consumare i pasti a intervalli regolari;
• i lavoratori in regime di auto-restrizione idrica per motivi religiosi (coloro che seguono il Ramadan) devono bere almeno 2 litri d’acqua dopo il tramonto e 2 litri d’acqua prima dell’alba. L’idratazione è cumulativa e quindi questo accorgimento è fondamentale. Importante è inoltre che evitino di saltare il pasto della mattina prima dell'inizio del digiuno.
• le bevande energetiche sono da evitare: alcune contengono molta più caffeina rispetto alla classica tazzina da caffè; la caffeina in tali quantità può influenzare negativamente lo stato di idratazione. Inoltre, molte bevande energetiche contengono elevate quantità di zuccheri e aggiungono calorie non necessarie alla dieta;
• evitare il consumo di bevande alcoliche ai pasti perché l’alcol favorisce la vasodilatazione e aumenta il rischio di patologie da calore”;
• chi lavora in condizioni di esposizione al caldo, soprattutto quando intenso e persistente, dovrebbe bere 1 bicchiere (250 ml) di acqua ogni 15-20 minuti, ovvero circa 1 litro all'ora. Bere un bicchiere d’acqua ogni 15-20 minuti è più efficace che bere maggiori quantità più di rado;
• in caso di forte sudorazione, reintrodurre insieme ai liquidi anche i sali minerali persi con un’alimentazione ricca di frutta e verdura e, in caso di sforzo fisico intenso, con integratori, su consiglio del medico competente o curante.
Le indicazioni per il datore di lavoro:
• distributori di acqua dovrebbero essere installati in diverse postazioni sul luogo di lavoro;
• per le attività all'aperto, i lavoratori possono utilizzare zaini o cinture per l’idratazione dotate di apposito sistema di conservazione e di costante accesso all'acqua;
• in alternativa, refrigeratori contenenti acqua o grandi brocche d'acqua possono essere installati in postazioni all’ombra, in aree frequentate dai lavoratori durante la giornata.
Pause programmate
Vediamo adesso l’importanza delle pause programmate per i lavoratori esposti al caldo.
Non è raccomandabile lavorare continuativamente in condizioni di esposizione al caldo senza fare pause: è importante fare pause periodiche per rinfrescarsi.
Infatti pause dal lavoro brevi e tanto più frequenti quanto maggiore è il rischio associato al caldo possono ridurre i rischi per la salute senza influenzare la produttività.
Ricordiamo che attendere di avvertire la stanchezza prima di fare una pausa potrebbe non essere sufficiente ed è, dunque, consigliabile concordare con il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione o con il Datore di lavoro delle pause tra le attività lavorative.
È poi necessario prestare attenzione alle previsioni giornaliere sulle ondate di calore per ottenere una previsione personalizzata del rischio microclimatico connesso allo stress da caldo.
In questo senso è possibile consultare le piattaforme previsionali di allerta da caldo specifiche per i lavoratori, come quella messa a punto nell’ambito del Progetto Worklimate, in grado di fornire previsioni personalizzate sulla base dell’attività fisica svolta dal lavoratore e dell’ambiente di lavoro (es. esposizione al sole o in zone d’ombra).
Si segnala che le raccomandazioni sono diversificate in base all’intensità dell’attività lavorativa e al grado di esposizione al caldo:
• chi esegue un’attività lavorativa moderata durante un’ondata di calore dovrebbe seguire una serie di raccomandazioni per proteggersi dal caldo simili a quelle della popolazione generale (idratazione, alimentazione, abbigliamento) e fare pause frequenti in luoghi ombreggiati o con aria condizionata;
• chi esegue un’attività lavorativa intensa durante un’ondata di calore dovrebbe usare estrema cautela: il rischio di patologie da calore in questo caso è alto. In aggiunta alle raccomandazioni generali su idratazione, alimentazione, abbigliamento, quindi, se ne aggiungono altre relative alla gestione dell’attività lavorativa. E' quindi fortemente consigliato valutare con il Datore di Lavoro l’opportunità di rimodulare l’attività lavorativa (ritmo e turni), ad esempio con un’interruzione delle attività che richiedono un maggiore sforzo fisico nelle ore più calde e programmando pause frequenti in luoghi ombreggiati”.
Fonte: Gruppo Errepi Srl e Puntosicuro
Il defibrillatore semiautomatico (DAE) è obbligatorio per le Associazioni Sportive Dilettantistiche e Professionistiche già dal 2012, quando il cosiddetto decreto Balduzzi (poi convertito in legge) lo rese necessario anche per l’attività sportiva non agonistica.
L’obiettivo della legge è quello di “salvaguardare la salute dei cittadini che praticano attività sportiva non agonistica o amatoriale”, come citato nel testo stesso e agire tempestivamente in caso di arresto cardiaco.
Purtroppo, nessuno è esente dal rischio di arresto cardiaco, che può colpire sia uomini che donne di qualsiasi età e condizione di salute. Per questo motivo lo Stato italiano ha lavorato per introdurre l’obbligo di defibrillatore nei luoghi più frequentati, soprattutto dove si pratica sport e l’attività cardiaca è più intensa.
Defibrillatore obbligatorio, cosa cambia per le ASD con la legge 116?
Con l’entrata in vigore, nell’agosto del 2021, della legge che disciplina l’obbligo del defibrillatore in scuole e università, stazioni, mezzi di trasporto e uffici pubblici, c’è stato qualche cambiamento anche per le ASD.
La prima e più importante integrazione della legge 116/21 riguarda la possibilità di usare, oltre ai defibrillatori semiautomatici, anche quelli automatici. Questo perché, mentre secondo la legge Balduzzi il defibrillatore poteva essere usato solo da personale (anche non sanitario) formato per fornire primo soccorso, ora la possibilità di soccorrere viene estesa a chiunque, in assenza di personale formato.
Nella legge n.116/21 infatti, oltre alla legittimità dei defibrillatori automatici e semiautomatici, vengono anche depenalizzate le conseguenze connesse all’uso di un defibrillatore: chi soccorre agisce in stato di necessità e non diventa perseguibile per legge (articolo 54 del Codice Penale).
I defibrillatori automatici, infatti, sono intuitivi e molto semplici da usare. Programmati per essere utilizzati anche da soccorritori non professionisti, permettono di agire immediatamente grazie a istruzioni chiare e dettagliate che guidano il soccorritore passo dopo passo.
Un’altra importante novità della legge 116 è l’introduzione dell’obbligo di defibrillatore anche durante gli allenamenti e le competizioni, con l’obiettivo di avere a portata di mano un DAE durante tutte le attività svolte.
Perché è importante mantenere il DAE in perfetta funzione e quali sono le possibili conseguenze della mancata manutenzione?
Ogni defibrillatore contiene parti deteriorabili: si tratta delle batterie e degli elettrodi, che hanno una durata di circa 5 anni.
Sebbene il DAE possa sembrare spento, è in realtà progettato per essere costantemente pronto all’uso: tutti i giorni il defibrillatore esegue autotest e controlli interni, che monitorano costantemente lo stato di efficienza del dispositivo, segnalando eventuali malfunzionamenti. Questi autotest portano le batterie a scaricarsi progressivamente, motivo per cui è necessario un controllo periodico sul defibrillatore.
Per quanto riguarda gli elettrodi, questi hanno una data di scadenza che è sempre riportata sulla confezione originale fornita dal produttore. Le piastre adesive del defibrillatore infatti hanno sulla superficie una patina di gel adesivo che ha una duplice funzione: far aderire perfettamente le piastre al torace della persona soccorsa e agire da conduttore per la trasmissione della scarica elettrica erogata.
Le piastre si deteriorano perché il gel di cui sono costituite tende, con il trascorrere del tempo, a seccarsi progressivamente: quando il processo di essiccazione supera una certa soglia, le proprietà conduttive si riducono drasticamente.
Il rischio, se batterie ed elettrodi non vengono controllati costantemente, è che in caso di bisogno il defibrillatore possa non funzionare.
Dove deve/può essere posizionato il DAE e chi deve curarsi della manutenzione?
La legge 116/21 sull’obbligo dei DAE specifica, all’articolo 4, che le società sportive che utilizzano impianti sportivi pubblici hanno l’obbligo di condividere i DAE con le persone che frequentano gli impianti stessi.
Questa precisazione arriva a rinforzare l’articolo 6 del decreto attuativo della legge Balduzzi, secondo il quale è la società sportiva dilettantistica a doversi dotare del defibrillatore e a doversi occupare della sua manutenzione. Già nella legge del 2012, poi, veniva indicata la possibilità, per le società di uno stesso impianto sportivo, di associarsi per acquistare un DAE.
Entrambe le leggi, sia la legge Balduzzi che la legge 116/21 parlano chiaramente di responsabilità riguardo la dotazione e la manutenzione dei DAE installati in struttura.
Nel testo del decreto attuativo della legge Balduzzi (luglio 2013) si legge che “la società è responsabile della presenza e del regolare funzionamento del dispositivo”; all’articolo 5 si specifica che:
“Le società singole o associate possono demandare l’onere della dotazione e della manutenzione del defibrillatore al gestore dell’impianto sportivo attraverso un accordo che definisca le responsabilità in ordine all’uso e alla gestione dei defibrillatori”.
La legge ribadisce che il DAE deve essere registrato presso la centrale operativa del 118 territorialmente competente. È la stessa centrale operativa che mette a disposizione la modulistica necessaria per comunicare una serie di dati indispensabili:
- l’esatta locazione del DAE;
- le caratteristiche;
- la marca e il modello;
- la data di scadenza delle parti deteriorabili (elettrodi e batterie);
- gli orari di accessibilità al pubblico.
Chi è incaricato dell’utilizzo del DAE in caso di bisogno?
La legge 116/21 estende a chiunque la possibilità di usare il defibrillatore, in assenza di persone formate nel primo soccorso, per salvare una persona da arresto cardiaco.
Inoltre, come abbiamo accennato in precedenza, con la legge 116/21 viene specificato che chi soccorre agisce in stato di necessità e per questo, secondo quanto specificato dall’articolo 54 del Codice Penale, non è penalmente perseguibile.
Fonte: Puntosicuro
Prevenire le patologie da calore: turni, ombra, emergenze e acclimatazione con focus su riorganizzazione dei turni, aree ombreggiate, stato di acclimatazione, gestione delle emergenze e misure per ambienti chiusi.
Il progetto WORKLIMATE (Impatto dello stress termico ambientale sulla salute e produttività dei lavoratori: strategie di intervento e sviluppo di un sistema integrato di allerta meteo-climatica ed epidemiologica per vari ambiti occupazionali), come ricordato anche dal nostro giornale, ha permesso di sviluppare in questi due anni una importante attività di ricerca relativa all'approfondimento delle conoscenze sull'effetto delle condizioni di stress termico ambientale sui lavoratori.
Attraverso questo progetto - sviluppato in collaborazione fra INAIL, CNR - IBE, Azienda USL Toscana Centro, Azienda USL Toscana Sud Est, Dipartimento di Epidemiologia, Servizio Sanitario Regionale Lazio e Consorzio LaMMA – sono stati organizzati alcuni casi-studio in aziende del centro Italia, è stata svolta una indagine sulla percezione del rischio legata all’esposizione a temperature estreme e sono stati elaborati vari documenti e brochure informative, rivolti anche ai datori di lavoro, che possono essere molto utili per migliorare la prevenzione del rischio microclimatico.
Ci soffermiamo, in particolare, sulla brochure dal titolo “Decalogo per la prevenzione delle patologie da calore nei luoghi di lavoro - informativa per i datori di lavoro” che presenta delle “raccomandazioni mirate ad un'efficace pianificazione degli interventi aziendali in materia di prevenzione del rischio microclima, da adottare nell’ambito della specifica organizzazione del sistema di prevenzione aziendale” (ai sensi art. 2 comma 2 d.lgs. 81/2008).
Nello specifico affrontiamo i seguenti argomenti:
- La riorganizzazione dei turni e le aree ombreggiate per le pause
- Lo stato di acclimatazione e il reciproco controllo dei lavoratori
- La gestione delle emergenze e le misure specifiche per gli ambienti chiusi
La riorganizzazione dei turni e le aree ombreggiate per le pause
Il decalogo al punto 5 (Riorganizzazione dei turni di lavoro) ricorda che la modifica degli orari di lavoro “può ridurre l'esposizione dei lavoratori al calore”.
Si indica di consultare le previsioni di allerta e si rimanda ad una pagina del progetto che contiene un “prototipo di piattaforma previsionale di allerta per un primo screening dei rischi legati allo stress da caldo per i lavoratori”.
In particolare la riorganizzazione del lavoro riguarda:
“la riprogrammazione delle attività che non sono prioritarie e che sono da condursi all'aperto in giorni con condizioni meteoclimatiche più favorevoli;
la pianificazione delle attività che richiedono un maggiore sforzo fisico durante i momenti più freschi della giornata;
l’alternanza dei turni tra i lavoratori in modo da minimizzare l’esposizione individuale al caldo o al sole diretto;
l’interruzione del lavoro in casi estremi quando il rischio di patologie da calore è molto alto”.
Un altro aspetto importante (punto 6) è il rendere disponibili e accessibili aree ombreggiate per le pause.
Infatti per quanto possibile bisogna assicurare “la disponibilità di aree completamente ombreggiate o climatizzate per le pause e il raffreddamento”.
Non bisogna dimenticare che pianificare pause brevi ma frequenti in luoghi ombreggiati “non causa perdite di produttività, ma anzi, ci sono evidenze che in assenza di pause pianificate il ritmo di lavoro si rallenta e aumenta il rischio di errore umano”.
Le indicazioni:
“si raccomanda, compatibilmente con l’attività lavorativa svolta, di utilizzare segnali acustici, messaggi audio, qualsiasi tipo di comunicazione efficace per ricordare ai lavoratori di effettuare pause al fresco per la reidratazione e il rinfrescamento;
i pasti dovranno essere consumati sempre in aree ombreggiate (ove applicabile, si consiglia di fornire ai lavoratori pasti adeguati ricchi in frutta e verdura, evitando cibi ricchi di grassi e sale che rallentano la digestione e predispongono allo stress da caldo)”.
Lo stato di acclimatazione e il reciproco controllo dei lavoratori
Il punto 7 riguarda il “favorire l’acclimatazione dei lavoratori”.
Infatti l'acclimatazione “consiste in una serie di modificazioni fisiologiche che consentono all’organismo di tollerare la conduzione di mansioni lavorative in condizioni di esposizione a temperature elevate”. E si ottiene “aumentando gradualmente i carichi di lavoro e l'esposizione al calore dei lavoratori e favorendo l’effettuazione di frequenti pause per l'approvvigionamento di acqua e il riposo all'ombra”.
Si ricorda che sono necessari “dai 7 ai 14 giorni per raggiungere uno stato di acclimatazione (di più nel caso in cui il lavoratore stia assumendo determinati farmaci o sia affetto da patologie croniche)”.
Inoltre, in linea con quanto raccomandato dagli organismi internazionali per la protezione della salute occupazionale, “si consiglia che, in caso di ondata di calore i lavoratori neo-assunti e quelli che riprendono il lavoro dopo un'assenza prolungata inizino con il 20% del carico di lavoro il primo giorno e aumentino gradualmente il carico ogni giorno successivo; i lavoratori esperti dovrebbero iniziare il primo giorno al 50% del carico normale, e anch’essi aumentare gradualmente il carico nei giorni successivi”.
È poi importante “tenere presente che:
- l'acclimatazione si mantiene solo per alcuni giorni se si interrompe l’attività lavorativa
- i disturbi da caldo si verificano spesso durante i primi giorni di attività lavorativa e/o nei primi giorni di un’ondata di calore o in concomitanza con le prime esposizioni stagionali a temperature particolarmente elevate;
- particolare attenzione va prestata ai lavoratori neo-assunti, ovvero lavoratori giovani e in ottime condizioni di salute ma con meno esperienza lavorativa alle spalle”.
Il punto 8 è relativo, invece, alla realizzazione del “sistema del compagno”.
Infatti è utile promuovere il “reciproco controllo dei lavoratori soprattutto in momenti della giornata caratterizzati da temperature particolarmente elevate o, in generale, durante le ondate di calore. In caso di insorgenza di segni e sintomi di patologie da calore, un compagno vicino potrà chiamare il 118 (o il numero unico 112) e prestare il primo soccorso nel rispetto delle norme anti Covid-19, indicando il luogo esatto in cui vengono svolte le lavorazioni”.
La gestione delle emergenze e le misure specifiche per gli ambienti chiusi
Il decalogo si sofferma anche sulla gestione delle emergenze.
Nel punto 9 (Pianificazione e risposta alle emergenze) si indica che “prima dell’esposizione dei lavoratori al calore (all’aperto o al chiuso) è importante sviluppare con la collaborazione del medico competente e del responsabile della sicurezza un piano di sorveglianza per il monitoraggio dei segni e dei sintomi delle patologie da calore e di risposta alle emergenze, per favorire precocemente la diagnosi e il trattamento”.
Tale piano deve includere “informazioni su cosa fare quando qualcuno mostra i segni delle patologie da calore, come contattare i soccorsi, quali misure di primo soccorso attuare in attesa dell'arrivo dei soccorsi. Tutti i lavoratori devono essere messi a conoscenza del piano e devono essere in grado di riconoscere i sintomi legati allo stress termico. I lavoratori che presentino l'insorgenza di patologie da calore devono cessare immediatamente di svolgere le attività che stavano svolgendo, rinfrescarsi bagnandosi con acqua fresca e bere acqua potabile”.
Si ricorda che “essere in stato confusionale può essere un segno di colpo di calore e richiede un’immediata assistenza medica. Nel trattamento di una grave malattia da calore, il raffreddamento è l’azione prioritaria da intraprendersi immediatamente, ed è indispensabile prevedere che venga sempre messa in atto all’insorgenza dei sintomi”.
Inoltre è da tenere sempre presente che:
“sentirsi male mentre si lavora al caldo è un serio segnale di allerta. Qualsiasi lavoratore che riferisca di sentirsi male durante il lavoro in condizioni di caldo corre il rischio dell’esaurimento da calore, situazione clinica che può rapidamente progredire in un colpo di calore se non trattata prontamente; il primo intervento di soccorso in caso di sospetto esaurimento da calore o colpo di calore comporta il raffreddamento del corpo il più rapidamente possibile, oltre al dare da bere acqua potabile o a somministrare soluzioni isotoniche di cloruro di sodio per ripristinare la perdita di sali. Le persone con una grave malattia da calore non sempre sono in grado di riconoscere i rischi che stanno correndo. Se un lavoratore mostra segni di esaurimento da calore o colpo di calore, non deve essere mai lasciato solo fino a quando non arrivano i soccorsi”.
Infine il decalogo riporta (punto 10) alcune misure specifiche per i luoghi di lavoro in ambienti chiusi.
Si segnala che i luoghi di lavoro in ambienti chiusi “possono essere raffreddati con l’utilizzo del condizionatore o, in alternativa, se la temperatura dell’aria è inferiore alla temperatura media corporea (circa 35°C), del ventilatore. È importante ricordare che i ventilatori meccanici accelerano soltanto il movimento dell’aria ma non abbassano la temperatura ambientale. Il condizionatore va utilizzato in modo corretto”.
Altri metodi per abbassare la temperatura ambientale includono poi “l’utilizzo di schermi riflettenti per l’allontanamento del calore radiante e l’isolamento termico degli infissi. Se sono presenti macchinari/superfici calde si possono posizionare schermi protettivi fra il lavoratore e le sorgenti radianti eventualmente presenti (semplici superfici riflettenti o riflettenti ed assorbenti) e si può ridurre, laddove possibile, l’emissività della superficie calda della sorgente radiante rivestendola con del materiale isolante”.
Fonte: Puntosicuro
Cosa indica il nuovo protocollo anticovid per i luoghi di lavoro?
Gruppo Errepi Srl propone un approfondimento delle indicazioni del nuovo protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2 negli ambienti di lavoro con focus su ingressi, dispositivi, pulizia e lavoro agile.
In questi giorni sono state presentate le linee principali dell’accordo, specialmente in relazione all’uso delle mascherine FFP2 che rimangono un presidio rilevante ma per le quali ogni azienda è tenuta a svolgere un’analisi interna al fine di individuare “particolari gruppi di lavoratori ai quali fornire adeguati dispositivi di protezione individuali (FFP2), che dovranno essere indossati, avendo particolare attenzione ai soggetti fragili”.
Ricordiamo che nella premessa del protocollo si indica che questa versione tiene conto dei vari provvedimenti recenti in materia COVID-19, della Circolare 1/2022 del Ministro per la Pubblica Amministrazione, ma anche e della “circolazione di varianti di virus SARS-CoV-2 ad alta trasmissibilità delle ultime settimane”.
“Modalità di ingresso nei luoghi di lavoro”
Si indica che, come era già nel Protocollo del 6 aprile 2021, il personale, prima dell’accesso al luogo di lavoro “potrà essere sottoposto al controllo della temperatura corporea. Se tale temperatura risulterà superiore a 37,5°C, non sarà consentito l’accesso ai luoghi di lavoro”.
Le persone in tale condizione “saranno momentaneamente isolate e fornite di mascherina FFP2” (non più solo mascherina chirurgica) ove non ne fossero già dotate, non dovranno recarsi al Pronto Soccorso e/o nelle infermerie di sede, ma dovranno contattare nel più breve tempo possibile il proprio medico curante e seguire le sue indicazioni”.
Inoltre si indica che la riammissione al lavoro dopo l’infezione da virus SARS-CoV-2/ COVID-19 avverrà secondo le modalità previste dall’art. 4 del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 convertito in legge 19 maggio 2022 n. 52 e dalla circolare del Ministero della salute n. 19680 del 30 marzo 2022. E “qualora, l’autorità sanitaria competente disponga misure aggiuntive specifiche, il datore di lavoro fornirà la massima collaborazione, anche attraverso il medico competente, ove presente”.
Come nel precedente protocollo si ricorda che la rilevazione in tempo reale della temperatura corporea costituisce un trattamento di dati personali e, pertanto, deve avvenire nel rispetto della disciplina per la protezione dei dati personali.
“Pulizia e sanificazione in azienda, ricambio dell’aria”, con indicazioni, anche in questo caso non dissimili, ma più semplificate rispetto ai precedenti protocolli.
Si indica che il datore di lavoro “assicura la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni e di svago, in coerenza con la circolare del Ministero della salute n. 17644 del 22 maggio 2020 e con il Rapporto ISS COVID-19, n. 12/2021 - Raccomandazioni ad interim sulla sanificazione di strutture non sanitarie nell’attuale emergenza COVID- 19: ambienti/superfici. Aggiornamento del Rapporto ISS COVID-19 n. 25/2020. Versione del 20 maggio 2021”.
Nel caso di presenza di una persona con COVID-19 all’interno dei locali aziendali, “si procede alla pulizia e sanificazione dei medesimi, secondo le disposizioni della circolare del Ministero della salute n. 5443 del 22 febbraio 2020 nonché alla loro ventilazione”.
Occorre poi “garantire la pulizia, a fine turno, e la sanificazione periodica di tastiere, schermi touch e mouse con adeguati detergenti, sia negli uffici che nei reparti produttivi, anche con riferimento alle attrezzature di lavoro di uso promiscuo”.
In questa parte del protocollo si indica poi che in tutti gli ambienti di lavoro “vengono adottate misure che consentono il costante ricambio dell’aria, anche attraverso sistemi di ventilazione meccanica controllata”.
“Precauzioni igieniche personali”
Si indica che è obbligatorio (lo era anche per i precedenti protocolli) che le persone presenti nel luogo di lavoro “adottino tutte le precauzioni igieniche, in particolare per le mani. Il datore di lavoro mette a disposizione idonei e sufficienti mezzi detergenti e disinfettanti per le mani, accessibili a tutti i lavoratori anche grazie a specifici dispenser collocati in punti facilmente accessibili. È raccomandata la frequente pulizia delle mani, con acqua e sapone”.
“Dispositivi di protezione delle vie respiratorie”
Si riportano i vari obblighi previsti dalle normative vigenti e si sottolinea che “l’uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo facciali filtranti FFP2, anche se attualmente obbligatorio solo in alcuni settori secondo la vigente disciplina legale, rimane un presidio importante per la tutela della salute dei lavoratori ai fini della prevenzione del contagio nei contesti di lavoro in ambienti chiusi e condivisi da più lavoratori o aperti al pubblico o dove comunque non sia possibile il distanziamento interpersonale di un metro per le specificità delle attività lavorative” (ma non si parla più, come in precedenza, di obbligo dei dispositivi “in tutti i casi di condivisione degli ambienti di lavoro, al chiuso o all’aperto”).
Il nuovo Protocollo indica che “il datore di lavoro assicura la disponibilità di FFP2 al fine di consentirne a tutti i lavoratori l’utilizzo. Inoltre, il datore di lavoro, su specifica indicazione del medico competente o del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, sulla base delle specifiche mansioni e dei contesti lavorativi sopra richiamati, individua particolari gruppi di lavoratori ai quali fornire adeguati dispositivi di protezione individuali (FFP2), che dovranno essere indossati, avendo particolare attenzione ai soggetti fragili”.
“Sorveglianza sanitaria/medico competente/RLS”
Si indica che è necessario, pur nel rispetto delle misure igieniche raccomandate dal Ministero della salute e secondo quanto previsto dall’OMS, “che la sorveglianza sanitaria sia volta al completo ripristino delle visite mediche previste, previa documentata valutazione del medico competente che tiene conto dell’andamento epidemiologico nel territorio di riferimento”.
In particolare la sorveglianza sanitaria “oltre ad intercettare possibili casi e sintomi sospetti del contagio, rappresenta un’occasione sia di informazione e formazione che il medico competente può fornire ai lavoratori in particolare relativamente alle misure di prevenzione e protezione, ivi compresa la disponibilità di specifica profilassi vaccinale anti SARS-CoV-2/Covid-19 e sul corretto utilizzo dei DPI nei casi previsti. Il medico competente collabora con il datore di lavoro, il RSPP e le RLS/RLST nell’identificazione ed attuazione delle misure volte al contenimento del rischio di contagio da virus SARS-CoV- 2/COVID-19”.
Inoltre, ove presente, il medico competente “attua la sorveglianza sanitaria eccezionale ai sensi dell’articolo 83 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, la cui disciplina è attualmente prorogata fino al 31 luglio 2022 ai sensi dell’art. 10 del decreto legge 24 marzo 2022 n. 24 convertito in legge 19 maggio 2022 n. 52, ai fini della tutela dei lavoratori fragili secondo le definizioni e modalità di cui alla circolare congiunta del Ministero della salute e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 4 settembre 2020, nel rispetto della riservatezza. A tale citata circolare si rimanda relativamente alla modalità di attuazione della sorveglianza sanitaria eccezionale nei casi in cui non sia nominato il medico competente”.
"Il lavoro agile e i lavoratori fragili"
Riguardo al “lavoro agile” si indica che “pur nel mutato contesto e preso atto del venir meno dell’emergenza pandemica, si ritiene che il lavoro agile rappresenti, anche nella situazione attuale, uno strumento utile per contrastare la diffusione del contagio da Covid-19, soprattutto con riferimento ai lavoratori fragili, maggiormente esposti ai rischi derivanti dalla malattia”.
In questo senso – continua il protocollo – “le Parti sociali, in coerenza con l’attuale quadro del rischio di contagio, manifestano l’auspicio che venga prorogata ulteriormente la possibilità di ricorrere allo strumento del lavoro agile emergenziale, disciplinato dall’art. 90, commi 3 e 4, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77”.
Riguardo ai “lavoratori fragili”, si segnala che il datore di lavoro “stabilisce, sentito il medico competente, specifiche misure prevenzionali e organizzative per i lavoratori fragili”. E anche in questo caso le Parti sociali “auspicano che vengano prorogate ulteriormente le disposizioni in materia di tutele per i lavoratori fragili”.
Infine il documento indica che le parti “si impegnano ad incontrarsi ove si registrino mutamenti dell’attuale quadro epidemiologico che richiedano una ridefinizione delle misure prevenzionali qui condivise e, comunque, entro il 31 ottobre 2022 per verificare l‘aggiornamento delle medesime misure”.
Fonte: Gruppo Errepi Srl - Puntosicuro